Alla Triennale di Milano l’arte contemporanea dialoga con le nuove frontiere della scienza per tentare di dare una risposta concreta a questioni importanti come l’impatto dei cambiamenti climatici sull’ecosistema, la salvaguardia della bio-diversità, l’ibrudazione tra viventi. Temi che l’arte prende in carico, non più rappresentandoli, ma proponendo soluzioni.
Per tentare di ripristinare gli equilibri che ancora possiamo “dobbiamo muoverci per fare riparazioni. (…).”
Con l’esposizione BROKEN NATURE “la XXII Triennale di Milano, analizzando vari progetti di architettura e design, esplorerà il concetto di design ricostituente e metterà in luce oggetti e strategie, su diverse scale, che reinterpretano il rapporto tra gli esseri umani e il contesto in cui vivono, includendo sia gli ecosistemi sociali che quelli naturali.”
Già negli anni ’50, il movimento situazionista aveva sostenuto che la vita quotidiana dovesse coincidere con l’opera d’arte. In seguito, negli anni ’70, si sviluppò l’Arte relazionale, attraverso gli happening, le performance partecipative sperimentò esperienze di creatività collettiva.
La novità più importante delle pratiche bioartistiche rispetto alle ricerche che sperimentavano la connessione, ad esempio, tra uomo e robot sta infatti proprio nell’intima connessione con degli esseri animali o vegetali e nell’idea di manipolare la vita. Diversamente dalle esperienze che rappresentavano la vita, le attuali sperimentazioni nell’ambito delle bio-arti espongono vite ricreate, inesistenti prima dell’intervento dell’artista ma che hanno, anch’esse, la capacità di evolvere e generare […]. Il rischio della trasmissibilità per via ereditaria dei caratteri somatici degli organismi ibridati è uno degli ostacoli più pressanti che esse devono affrontare e forse anche delle attuali resistenze del sistema dell’arte contemporanea, sebbene la maggior parte di questi artisti e designer adottino il “principio di precauzione”. Un antecedente di riferimento ad alcune bio-opere esposte in Triennale, è stato, tra gli altri, il progetto “One tree” di Natalie Jeremijenko, che la vide produrre in laboratorio una serie di alberi cloni di uno stesso arbusto, prevedendo poi di piantarli in varie zone della Bay Area di New York.Così, in Triennale, sono esposti semi provenienti da banche dati che hanno lo scopo di proteggere molte specie dall’estinzione.Alcune azioni non di rado sfociano in vere e proprie manifestazioni di protesta e testimoniano quanto sia importante riatabilire la connessione con l’ecosistema animale e vegetale.La simulazione della manipolazione del vivente avvenne ad opera dalle esperienze new media, tra gli altri, degli artisti C. Sommerer e L. Mignonneau, che anticiparono le sperimentazioni che oggi si concentrano sull’aspetto “wet” della vita. Edoardo Kac, Marta de Menezes, the Tissue Culture & Art project si confrontarono, già alla fine del secolo scorso, con forme di ibridazione tra informatica e biologia.
Le pratiche più recenti, di cui abbiamo un assaggio in Triennale, sono sempre più trans-mediali.
dell’uomo di creare forme di vita o di intervenire su quelle esistenti.
Le tecnologie offrono, infatti, da sempre, stimoli interessanti anche per la ricerca artistica. E se, già nel 1990, contemporaneamente all’avvio del “Progetto Genoma”, emersero opere d’arte riguardanti le problematiche della ricerca sulla salvaguardia dell’ecosistema e della biodiversità, il “reliquiario” esposto in mostra, è il risvolto artistico della stessa medaglia .
Creatività artistica e ricerca scientifica si incontrano oggi nel “Living design”, enfatizzando l’idea di manipolare la vita come processo transdisciplinare che oggi chiama in causa la biologia sintetica nella sintesi di processi organici e inorganici.
In questo contesto l’Arte si muove, quindi, in direzione di uno scopo che si
allontana dall’estetica pura, per acquistare un aspetto sociale e
educativo, nell’intento di “sollevare il velo” su quanto accade.