Dopo diverse ore di viaggio, tra pullman e metro, stiamo finalmente per gustare la mostra di Artemisia Gentileschi, a pochi giorni dal suo finissage. Sono appena le 18.10 e chiediamo il ticket d’ingresso alla biglietteria. Non faccio in tempo a porgere la mia carta postpay che mi sento ribattere che si può pagare solo contanti. Lo sportello bancomat più vicino dista 400 metri e – “deve anche sbrigarsi perchè la biglietteria chiude tra venti minuti”, mi dicono. Ovvero un’ora prima della chiusura della mostra, la cui visita richiede, a sua volta, almeno un ora. Avviene in una delle principali sedi espositive d’Italia e d’Europa, il Palazzo Reale di Milano, frequentato ogni giorno da migliaia di visitatori. Per intenderci: solo nei giorni di Natale e Santo Stefano, la sola mostra di Artemisia ha raggiunto i 1800 visitatori. Eppure, visitarla, per chi non è di Milano, è un’impresa non da poco e non solo per gli orari di chiusura al tramonto. Bagni che a confronto, quelli delle stazioni sono da beauty farm! Una dozzina e più di turiste over 60, stanche di aspettare e in piedi il loro turno, decidono di occupare anche il bagno riservato agli uomini. Torno infine al guardaroba e l’addetto, mentre mi ridà la borsa che gli avevo consegnato poco prima, mi dice sorridendo: “già vista la mostra? Ah, per me è meglio, dopo una giornata di lavoro, non vedo l’ora di finire per tornare a casa”. Ancora una cosa, la più importante: per quanto tempo ci costringeranno a pagare la “cultura” in contanti? Proprio mentre le battaglie politiche vanno nella direzione della tracciabilità dei pagamenti, il ticket va pagato cash. Insomma, un’altra piccola odissea italiana. Mentre ci allontaniamo delusi da Palazzo Reale incrociamo una troupe giapponese intenta ad intervistare un nostro connazionale: “Cosa pensa dell’Italia? Cosa le piace del suo paese?” “Beh – risponde – la cultura, l’arte… e la cucina!” Meglio di così!
LC